“Qual’è” si può scrivere con l’apostrofo
Anche se la prescrizione sembra monolitica, poggia su piedi d’argilla. Vediamo perché.
Nell'avvicinarsi alle regole grammaticali si deve tenere alta la fiaccola del dubbio. Le regole da sole non bastano, dobbiamo indagare su che cosa si reggono. Questo ci impone di abbandonare qualche certezza, ma abbandonando i sacri rispetti potremo scoprire che l'incomprensibile bestia della lingua si fa accarezzare, e guadagnare in serenità.
La regola scolpita nella roccia ma proprio bene bene
La regola è fra le più note: “qual è” si scrive senza apostrofo. Ed è anche una regola molto vigorosa, effettiva, visto che ogni volta che viene infranta scatta la sanzione (una correzione pubblica, spesso sarcastica o sminuente, uno scadimento nella considerazione di chi ha commesso l’infrazione). Spesso la correzione dell’errore viene anche accompagnata dalla spiegazione: “qual è” si scrive senza apostrofo perché siamo davanti a un troncamento e non a un’elisione.
Ebbene, si tratta di una correzione a pappagallo che non la dice tutta. Le regole non esistono per sé, non vanno rispettate perché sì. Devono essere giustificate, altrimenti diventano vezzi arbitrari - ed è il nostro caso. Il sabato è stato fatto per l'uomo, non l'uomo per il sabato.
Che differenza fra elisione e troncamento?
La differenza fra troncamento ed elisione è importante, nella nostra lingua, ma va intesa perbene. Il problema non sta tanto nel contenuto, ma richiamiamolo: nel troncamento, a una parola cadono vocali o sillabe finali (a volte sostituite da un apostrofo, a volte no), e la parola così troncata ha una vita autonoma (gran, bel, po’, amor); invece con l'elisione la parola perde solo la vocale finale (sostituita sempre da un apostrofo) quando la parola seguente comincia per vocale, senza dar vita a un termine distinto, al solo fine di evitare iati che ci farebbero parlare come la rana dalla bocca larga (l’elastico, dell’altro, trent’anni).
Troncamento ed elisione esistono in una consuetudine. E può accadere che un termine a lungo troncato cada in desuetudine, e che gli subentri l’omologo eliso.
Il punto ingannevole
Infatti la domanda che di solito ci si pone per distinguere un caso di elisione da uno di troncamento è: questa parola può stare da sola? Trent non è una parola che si può usare da sola, e quindi è elisione. Bel invece si. Bel tipo, bel furbetto, bel cane. Ma è qui che troviamo il punto che inganna quasi tutti. Che cosa vuol dire che una parola ‘può essere usata da sola’?
Qual può essere usata da sola, è autonoma? Ovvio. Qual è? Qual buon vento. Un certo qual modo. Sono usi noti a tutti, a cui tutti ricorrono. Ma fermi. In questi casi viene effettivamente usata da sola? Oppure è incasellata in modi di dire cristallizzati?
Al di fuori di questi tre casi, ‘qual’ da solo non viene praticamente mai usato. A meno che non si voglia scimmiottare una loquela anticheggiante. Se ti faccio una torta e tu mi dici “qual meraviglia!” penso che tu voglia scherzare, se non proprio prendermi in giro. Se siamo al ristorante e ti chiedo “Qual piatto vuoi?”, sollevi lo sguardo dal menu, mi guardi, e “Ma che dici?”. Se facendo la relazione discetti di qual potere abbia prevalso sullo scacchiere politico, molto probabilmente hai esordito dicendo “Orbene, stamane…”
Spesso nei modi di dire consueti si conservano parole desuete che altrimenti non useremmo. Al di fuori di “prendersi la briga” o “attaccare briga”, chi è che usa il termine “briga”? Lo stesso vale per “Qual buon vento” e “Un certo qual modo”, modi di dire fissati, al cui interno sopravvive il “qual” troncato. Come nel “Qual è”.
Se il “qual” è sepolto, il “quale” invece è vivo, e mangia e beve e dorme e veste panni. “Ma guarda quale manicaretto mi hai fatto!” “Vino? Quale ti va stasera?” “Mi metto la camicia, ma con quale cravatta?” “Quale che sia la tua scelta, a me va bene”. “Quale le servo, quello dolce o quello piccante?”
Il fatto che il “qual” si sia in pratica estinto porta le persone a scrivere “Qual’è” con l’apostofo, e questo è normale nell’economia della nostra lingua. Perché il “qual” non si usa più, è una parola che ci suona strana e desueta, invece si usa il “quale”, e quella viene quindi riconosciuta come elisione del “quale”. Infatti spesso (incerti se usare l’apostrofo o no) tagliamo la testa al toro (ahilui) e scriviamo “Quale è?”. Una costrizione un po’ triste.
Il precedente illustre
Peraltro è già successo altre volte. Un caso è anche piuttosto rilevante: quello di pover e povero. Per tanti secoli, da prima di Dante in poi, la forma troncata di ‘povero’, cioè ‘pover’, è stata usata consuetamente. Via via ha receduto, fino a restare fra Otto e Novecento solo un uso poetico: oggi è del tutto desueto. Questo ha determinato che, se per buona parte della nostra letteratura è normale trovare scritto “pover pellegrino” e “pover uomo” o leggere di “pover e ciechi e zoppi”, oggi scriveremmo “povero pellegrino” “poveri e ciechi e zoppi”, “pover’uomo” (se non poveruomo), come anche del nostro “pover’amore” così sfortunato, e della “pover’anima” dello zio. Il ramo della forma troncata (pover) si è seccato, resta la forma originale (povero), che quando serve - per la verità abbastanza di rado - viene elisa (pover’).
La regola ragionata
Le consuetudini cambiano. Le forme troncate di certe parole possono cadere in desuetudine, e possono restare vive solo le forme originali che quando serve vengono elise. Certo è vero: scrivere “Qual’è” può esporre a una sanzione perché la regola scolpita nella roccia la sanno tutti. E per pacifica prudenza, al fine di evitare sanzioni sociali o discussioni spiacevoli, può essere saggio continuare a scrivere “Qual è” senza apostrofo, anche se si tratta di una regola attualmente arbitraria, che non poggia più sul solido (ammesso e non concesso che sul solido abbia mai poggiato). Non è certo una tattica insolita: aderisco a una consuetudine non perché creda nel suo valore, ma per evitare grane.
Che cosa possiamo fare?
Smettere di sanzionare il “Qual’è” scritto con l’apostrofo. Anche se per evitare grane non ci vogliamo esporre in prima persona scrivendolo, possiamo evitare di correggerlo agli altri, smettere di considerarlo un errore: senza sanzione questa vacua consuetudine finirà dove sono finite le nevi di un tempo. E non è un impoverimento, non è un imbarbarimento. Sono lenti inesorabili moti della lingua: dopotutto qual è desueto anche per chi difende con indignazione la solidità della regola scolpita nella roccia.
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